Piazze in lotta

Il mese di novembre si è concluso con un fine settimana denso di scioperi, manifestazioni, presidi e iniziative di lotta. Lo sciopero di venerdì 28 ha animato le piazze delle principali città, riuscendo ad aggregare ben oltre la cerchia degli iscritti alle varie sigle sindacali, ponendosi come punto di riferimento anche per il mondo studentesco e per tante realtà di lotta.

Nella giornata di sabato 29 manifestazioni molto partecipate in solidarietà con la popolazione di Palestina e contro guerre e genocidio si sono svolte in varie città italiane, come Roma, Milano, Messina, Firenze. A Torino la manifestazione contro l’Aerospace & Defense Meetings ha puntato il dito al cuore della questione, cioè la produzione e il commercio di armi, portando in piazza i contenuti più profondi dell’antimilitarismo, l’opposizione a tutte le guerre, al nazionalismo, al patriottismo, all’identitarismo e alle gerarchie militari.

Un fine settimana fitto di iniziative anche diverse tra loro, ma che danno il segno, ciascuna a proprio modo, di un riaccendersi della mobilitazione sociale.

Lo sciopero convocato dal sindacalismo di base per il 28 novembre contro la legge Finanziaria, il riarmo, l’economia di guerra e il genocidio in Palestina ha riacceso le piazze dopo la mobilitazione degli scorsi mesi. Certo rispetto a settembre/ottobre le manifestazioni dello scorso venerdì hanno visto numeri molto più bassi, ma in molte località si è visto un avanzamento delle pratiche e una partecipazione sicuramente maggiore rispetto a quella che ha caratterizzato negli ultimi anni le piazze degli scioperi del sindacalismo di base. Se dovessimo ragionare solo con i numeri dovremmo dire: meno del 3 ottobre ma più di sempre. Ma ci sono valutazioni complessive più importanti da fare e una cosa comunque è certa: l’intersezione e la contaminazione delle lotte, lo sviluppo di una larga opposizione sociale può contare sulla nuova centralità data allo strumento dello sciopero negli ultimi mesi, e sulla ripresa della consapevolezza del ruolo della classe lavoratrice nel fermare la macchina della guerra. Perché al centro di questa stagione ci sono, oltre alle grandi masse di giovani e di studenti, proprio loro, quelli dati tante volte per scomparsi: i tanti lavoratori e le tante lavoratrici che hanno animato le piazze, i presidi, i picchetti, sensibili alle questioni specifiche della rivendicazione di categoria ma anche alle questioni più larghe, come la guerra, il riarmo, le spese militari, consapevoli del legame tra guerra e sfruttamento. Il momento che si è dato è particolare. Non siamo in grado di prevederne le evoluzioni, ma una cosa è sicura: non saranno burocrazie sindacali, segreterie di partito o pacchetti preconfezionati a riavviare una nuova stagione di mobilitazioni, bensì l’autorganizzazione e la sperimentazione concreta e collettiva di pratiche di lotta.

La redazione

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